IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 481/1999 r.g.,
 proposto dal dott. Triolo Filippo, titolare dell'omonima farmacia con
 sede in  Montevago  (Agrigento),  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Sebastiano  Maurizio  Timineri, presso il cui studio, in Palermo, via
 Vittorio Emanuele n. 492, e' elettivamente domiciliato;
   Contro l'Azienda Unita' sanitaria locale  n.  1  di  Agrigento,  in
 persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso
 dall'avv. Giovanni Iacono Manno, unitamente al quale e' elettivamente
 domiciliato in Palermo, via Cartagine n. 2, presso la sig.ra Spallino
 Rosa  Mazzola,  per la condanna, previa emissione di un provvedimento
 cautelare e di urgenza ex artt. 669-sexies e 700  c.p.c.  e  21  u.c.
 della  legge  n.  1034/1971, con contestuale ingiunzione di pagamento
 delle forniture di medicinali effettuate  dal  farmacista  ricorrente
 alla  predetta  Azienda, ex art. 186-ter c.p.c. e condanna alle spese
 ex art. 641 c.p.c. u.c.;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in   giudizio   dell'A.U.S.L.   di
 Agrigento;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Designato relatore il cons. dott. Nicolo' Monteleone;
   Uditi,  all'udienza camerale del 9 marzo 1999, l'avv. S.M. Timineri
 per il ricorrente e l'avv. G. Iacono Manno per l'A.U.S.L. resistente;
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto;
                               F a t t o
   1. - Con il ricorso in esame,  notificato  il  2  febbraio  1999  e
 depositato il giorno 18 successivo, il dott. Triolo Filippo espone:
     A)  di  essere  titolare  di  farmacia che, in forza dell'Accordo
 nazionale stipulato  con  il  Servizio  sanitario  nazionale  per  la
 disciplina  dei  rapporti  relativi  all'assistenza  farmaceutica, ha
 provveduto  ad  effettuare,  secondo  la  normativa  in  vigore,   la
 fornitura  relativa  ai mesi di ottobre e novembre 1998, come risulta
 dalle  distinte   contabili   riepilogative,   per   complessive   L.
 95.543.715;
     B)  ai sensi del comma 5 dell'art. 8 del d.P.R. 6 luglio 1998, n.
 371, approvativo del regolamento recante norme concernenti  l'accordo
 collettivo  nazionale  per la disciplina dei rapporti con le farmacie
 pubbliche e private, il termine ultimo per l'effettiva corresponsione
 dell'importo relativo alla fornitura dei medicinali, sulla  base  del
 documento contabile e' fissato, comunque, nell'ultimo giorno del mese
 successivo  a  quello di spedizione delle ricette. Poiche', pero', la
 regione Sicilia, non  ha  ancora  provveduto  ad  adottare  l'accordo
 regionale richiamato dal d.P.R. n. 371/1998, deve tuttora applicarsi,
 il precedente d.P.R. n. 94 del 21 febbario 1989 il quale, all'art.  9
 stabilisce  che  il  pagamento  delle  forniture di cui alle distinte
 contabili riepilogative, debba avvenire entro il giorno 25  del  mese
 successivo a quella di spedizione delle ricette;
     C)  nonostante l'odierno ricorrente abbia provveduto a consegnare
 all'Azienda U.S.L. n. 1  di  Agrigento  le  ricette  ed  il  relativo
 documento contabile entro il giorno 5 del mese successivo a quello di
 spedizione,  nonche'  alla formale messa in mora dell'Amministrazione
 resistente, la stessa,  ad  oggi,  non  ha  provveduto  al  pagamento
 dell'importo   dovutole,   violando   cosi'   le  norme  dell'Accordo
 collettivo nazionale che, ai sensi dell'art. 8, comma 2 del d.lgs. n.
 502/1992 e successive modificazioni, regola il  rapporto  che  si  e'
 instaurato  nell'ambito  del  Servizio  sanitario  nazionale  con  le
 farmacie aperte al pubblico, che assumono, quindi, la  figura  ed  il
 ruolo di gestori di un pubblico servizio.
   2.  -  Premesso  che,  nella  fattispecie,  si  verte  in  tema  di
 giurisdizione esclusiva ai sensi dell'art. 33, comma 2, lett.  b)  ed
 f),  d.lgs.   n. 80/1998, il ricorrente afferma il proprio diritto al
 pronto pagamento della complessiva somma di L. 95.543.715, maggiorata
 degli interessi legali dalla data della formale costituzione in  mora
 a quella di effettivo soddisfo e, comunque, al risarcimento del danno
 ingiusto  conseguente  al mancato e/o ritardato pagamento delle somme
 dovute quale corrispettivo delle forniture di medicinali,  effettuate
 nel periodo considerato come risultanti dalle due "distinte contabili
 riepilogative mensili" allegate al ricorso.
   Premesso,  poi,  che  sussisterebbero  fondati  motivi di temere un
 grave ed irreparabile pregiudizio derivante dal tempo occorrente  per
 ottenere  la  pronuncia di merito sul presente ricorso, il ricorrente
 chiede che l'adito tribunale assicuri  provvisoriamente  gli  effetti
 della  decisione sul merito, applicando le disposizioni del combinato
 disposto degli artt. 669-sexies e 700 c.p.c.
   Assume, inoltre, che ricorrono nella fattispecie, i  presupposti  e
 le  condizioni  previste dall'art. 186-ter c.p.c. per l'emissione nei
 confronti dell'Amministrazione intimata di una  ordinanza  collegiale
 di  ingiunzione  di  pagamento della distinta contabile riepilogativa
 prodotta in giudizio, per l'ammontare complessivo di  L.  95.543.715,
 oltre  gli  interessi  moratori  al tasso legale maturati e maturandi
 dalla data di formale costituzione  in  mora  all'effettivo  soddisfo
 nonche' le spese del giudizio cautelare.
   Secondo  il ricorrente, l'applicazione delle superiori disposizioni
 del codice di procedura civile da parte  del  giudice  amministrativo
 nella sua composizione collegiale si rende necessaria, per assicurare
 quella  effettivita' della tutela giurisdizionale garantita dall'art.
 113 della Costituzione (t.a.r. Lazio, sez. I-ter, ord.za n. 3444  del
 10 dicembre 1998).
   3.  -  Si e' costituita in giudizio l'Azienda U.S.L. intimata, che,
 con  rituale  memoria  difensiva,  ha  contestato  la  ricevibilita',
 l'ammissibilita'   e   la  fondatezza  del  ricorso,  chiedendone  la
 reiezione con ogni conseguente statuizione sulle spese.
   In particolare, l'Azienda ha osservato e dedotto:
     a) il potere cautelare d'urgenza attribuito al giudice  ordinario
 non  esiste  rispetto a situazioni giuridiche, pur qualificabili come
 diritti soggettivi, tutelabili avanti il giudice amministrativo o  ad
 altra giurisdizione speciale;
     b)  il  procedimento cautelare di condanna anticipata, cosi' come
 il procedimento monitorio, non si concilia con il procedimento avanti
 il t.a.r.;
     c)  l'art.  35,  comma  2,  del  d.lgs.  n.  80/1998  prevede  la
 possibilita'  di  condanna  della  p.a.  al  pagamento  di  una somma
 determinata solo a seguito del ricorso previsto dall'art.  27,  comma
 1,  del  r.d.  n.    1054/1924,  e nella fase precedente al giudicato
 prevede la possibilita' per il giudice amministrativo di stabilire  i
 criteri  in  base ai quali la p.a. o il gestore del pubblico servizio
 devono proporre il pagamento al creditore di una determinata somma di
 denaro;
   Nel merito, l'Azienda resistente ha contestato la esigibilita'  del
 credito  vantato  in  ricorso  alla  stregua delle norme contrattuali
 regionali in vigore e rileva, comunque, che il credito per il mese di
 ottobre e' stato interamente pagato mentre per quello di novembre  e'
 stato   versato  un  acconto,  per  cui  residua  un  credito  di  L.
 21.416.947.
   Alla Camera di consiglio del 9 marzo  1999,  presenti  i  difensori
 delle   parti  -  che  si  sono  riportati  agli  scritti  difensivi,
 insistendo nelle relative conclusioni - la causa e'  stata  posta  in
 decisione.
                             D i r i t t o
   1.  -  Va  preliminarmente  ritenuta  la  giurisdizione  di  questo
 tribunale nel giudizio promosso col ricorso in esame. Ed invero,  con
 l'art.    11,  comma  4,  della  legge  15 marzo 1997, n. 59 e' stata
 conferita delega al Governo per emanare entro il 31 gennaio 1999, uno
 o piu' decreti legislativi diretti tra l'altro a l'"estensione  della
 giurisdizione  del giudice amministrativo alle controversie aventi ad
 oggetto  diritti  patrimoniali  conseguenziali  ivi  comprese  quelle
 relative   al   risarcimento   del  danno,  in  materia  di  edilizia
 urbanistica e di servizi  pubblici,  prevedendo  altresi'  un  regime
 processuale   transitorio   per  i  procedimenti  pendenti  ...".  In
 attuazione di tale delega e' stato emanato il d.lgs.  31 marzo  1998,
 n.  80 (recante "Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di
 rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di  giurisdizione
 nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa ..."),
 il cui art. 33, tra l'altro, dispone che:
     1)   sono  devolute  alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice
 amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici  servizi,
 ivi  compresi  quelli  afferenti  al  credito,  alla  vigilanza sulle
 assicurazioni, al mercato mobiliare,  al  servizio  farmaceutico,  ai
 trasporti,  alle  telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14
 novembre 1995, n. 481 (ossia per l'energia  elettrica  il  gas  e  le
 telecomunicazioni.).
     2)  tali controversie sono, in particolare, quelle: ... b) tra le
 amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici
 servizi; ... f) riguardanti le attivita' e  le  prestazioni  di  ogni
 genere,  anche  di  natura  patrimoniale,  rese  nell'espletamento di
 pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito  del  Servizio
 sanitario  nazionale  e della pubblica istruzione, con esclusione dei
 rapporti  individuali  di  utenza   con   soggetti   privati,   delle
 controversie  meramente  risarcitorie  che  riguardano  il danno alla
 persona e delle controversie in materia di invalidita'.
   Nella  specie  trattasi  di  controversia  patrimoniale inerente ad
 attivita' di farmacista convenzionata svolta dalla odierna ricorrente
 nei mesi di ottobre  e  novembre  1998  (ossia  in  epoca  successiva
 all'entrata  in  vigore  del  d.lgs.  sopra  citato)  in favore della
 Azienda USL n.   1  di  Agrigento;  controversia  che,  all'evidenza,
 rientra  nella  previsione normativa surrichiamata e che, allo stato,
 appare pienamente suffragata dai documenti  contabili  depositati  in
 atti   dalla   stessa   ricorrente   (le   due   "distinte  contabili
 riepilogative mensili" di cui in narrativa).
   2. - Cio' posto, la questione pregiudiziale che si pone  e'  quella
 dell'ammissibilita'   dell'istanza  formulata  dalla  ricorrente  con
 riferimento agli artt. 669-sexies  e  700  c.p.c.,  nonche'  all'art.
 186-ter  c.p.c.   e quindi alla emissione di una ordinanza collegiale
 di ingiunzione alla p.a. di pagamento del credito pari a  complessive
 L.  95.543.715, oltre gli interessi moratori al tasso legale maturati
 e maturandi,  nonche'  le  spese  del  giudizio  cautelare.  Cio'  in
 relazione  ad  un  irreparabile pregiudizio derivante dal lungo tempo
 occorrente per ottenere la pronuncia di merito.
   Secondo il ricorrente l'applicazione delle  superiori  disposizioni
 del  codice  di  rito  da parte del giudice amministrativo (nella sua
 composizione collegiale) sarebbe necessaria,  per  assicurare  quella
 effettivita'  della  tutela  giurisdizionale  garantita dall'art. 113
 della Costituzione secondo quanto gia'  ritenuto  dal  t.a.r.  Lazio,
 sez. I-ter, con ord.za n. 3444 del 10 dicembre 1998.
   Il  t.a.r. Lazio, in realta', era stato adito per l'emissione di un
 decreto ingiuntivo, ma ha emesso la predetta "ordinanza"  richiamando
 l'art.  33  del  d.lgs.  n.  80/1998  e  l'art. 186-ter c.p.c.; norma
 quest'ultima  che  prevede  una  forma  di  tutela  urgente-cautelare
 (ordinanza ingiunzione) nell'ambito di un processo di cognizione.
   Viceversa,  secondo  l'Azienda  resistente il potere cautelare e di
 urgenza sarebbe attribuito solamente al giudice ordinario e non anche
 al giudice amministrativo o ad  altra  giurisdizione  speciale  anche
 rispetto   a   situazioni   giuridiche   qualificabili  come  diritti
 soggettivi.   In ogni caso  il  procedimento  cautelare  di  condanna
 anticipata,  cosi' come il procedimento monitorio, non sarebbe di per
 se' conciliabile con il procedimento avanti il t.a.r..
   Tale ultima prospettazione si ritiene di potere condividere seppure
 nei limiti di seguito indicati.
   E' da ritenere, invero, che, sebbene le norme del  processo  civile
 siano  dotate  di  una  particolare  vis  espansiva, tale da renderle
 applicabili analogicamente in tutti i casi in cui manchi  una  regola
 processuale  ben  definita, esse incontrano inevitabilmente il limite
 costituito dalla struttura propria del processo amministrativo, entro
 il quale non puo' operarsi la trasposizione,  di  peso,  del  sistema
 processuale civilistico, non tanto per le ragioni quasi "ontologiche"
 che   sembra   ipotizzare  la  difesa  dell'Azienda  U.S.L.,  quanto,
 piuttosto, per ragioni di ordine dogmatico-sistematico e (non ultime)
 per ragioni pratiche ed organizzative, che non consentono al  giudice
 amministrativo,  come  oggi  strutturato, di operare (nel campo delle
 nuove materie affidate alla sua giurisdizione esclusiva) allo  stesso
 modo di quanto in precedenza operato dal giudice ordinario.
   D'altronde  la  non immediata applicabilita' delle norme del codice
 di rito risulta evidente dallo  stesso  n.  80/1998  che,  pur  nella
 rilevante    novella    costituita   dall'attribuzione   al   giudice
 amministrativo  di  nuova  giurisdizione  esclusiva  per  blocchi  di
 materie  (che  coprono  l'area intera dei pubblici servizi), richiama
 espressamente, all'art.  35, le norme del codice  di  rito  solo  per
 cio'  che  concerne  i mezzi istruttori, demandando, per il resto, ad
 opportune future modifiche del regio decreto  n.  642  del  1907  gli
 eventuali  adattamenti  suggeriti  dalla  "specificita'  del processo
 amministrativo  in   relazione   alle   esigenze   di   celerita'   e
 concentrazione del giudizio".
   Per   cogliere  la  complessita'  e  la  delicatezza  dei  problemi
 dogmatici ed organizzativi suddetti, basta solo considerare:
     la difficolta' di definire esattamente la  natura  della  domanda
 incidentalmente  proposta  col  ricorso  in esame e che afferisce ora
 alla misura cautelare ex art. 186-ter  c.p.c.,  ora  alla  misura  di
 definizione  urgente  e  sommaria  della  controversia ex art. 633 ed
 artt. 669-sexies e 700 c.p.c.;
     la difficolta'  pratica  e  concettuale  di  definire  la  natura
 (sommaria,  cautelare,  monitoria)  dell'ordinanza  n.  3444/1998 del
 t.a.r.  Lazio  richiamata   in   ricorso   (emessa   in   fattispecie
 sostanzialmente  analoga  alla  presente)  ed il porsi dell'ordinanza
 stessa  con  riguardo  alla  formazione  del   giudicato   (ed   alla
 definizione  o  meno  del  giudizio) ed al sistema delle impugnazioni
 (opposizione, reclamo, appello); un'ordinanza che appare come un vero
 e proprio ibrido tra l'ordinanza-ingiunzione in  corso  di  causa  ex
 art.  186-ter  c.p.c.,  il  decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c., il
 provvedimento cautelare innominato ex 669-sexies c.p.c. e forse anche
 il provvedimento urgente ex art. 700 c.p.c..  Ed e' proprio  un  tale
 ibrido  processuale  che  sostanzialmente viene richiesto col ricorso
 oggi in esame.
   3. - Ne' puo' ritenersi che, per effetto  stesso  dell'attribuzione
 della  giurisdizione  al  giudice  amministrativo  nelle  materie  in
 argomento,  il  sistema  processo  civile   sia   stato   interamente
 richiamato implicitamente nell'ambito del processo amministrativo.
   Tale  tesi,  infatti,  appare a questo collegio come una innaturale
 forzatura dei dati normativi sopra richiamati, nei quali il  richiamo
 agli  strumenti  processuali  del  codice di rito e' operato solo con
 riguardo  ai  mezzi  di  prova,  segno  questo  della  volonta'   del
 legislatore  delegato  di  operare  un  richiamo  normativo del tutto
 limitato.  L'ipotesi  inversa,  ossia  quella  di  un   implicito   e
 generalizzato  richiamo  da parte del legislatore delegato alle norme
 processuali  civilistiche,  si  rivela,  inoltre,  intrinsecamente  e
 tecnicamente   insufficiente   e   sperequata,  posto  che  una  tale
 innovazione  processuale  (implicante  anche  -  come  gia'  detto  -
 rilevantissimi     aspetti     riorganizzativi     della    giustizia
 amministrativa) avrebbe dovuto essere disposta expressis verbis e non
 semplicemente "presumersi", o  ricavarsi  da  una  implicita,  quanto
 incerta, voluntas legis.
   Alla  stregua  di  tali  premesse,  pertanto,  l'esigenza di tutela
 immediata e sommaria cui si fa riferimento nel ricorso in esame,  sia
 in  relazione  agli  artt.  66-sexies  e 700 c.p.c., nonche' all'art.
 186-ter c.p.c.  (che richiama l'art. 633 c.p.c.),  non  puo'  trovare
 accoglimento.
   4.  - Peraltro, proprio la chiesta adozione di un provvedimento non
 meramente cautelare, ma anche di cognizione sommaria del  diritto  di
 credito  pecuniario  fatto  valere,  impedisce  al collegio di potere
 satisfattivamente applicare alla fattispecie il  principio  enunciato
 dalla  Corte  costituzionale,  con  sentenza  25 giugno 1985, n. 190,
 secondo   cui   il   giudice   amministrativo,   nelle   controversie
 patrimoniali  sottoposte  alla sua giurisdizione esclusiva (allora in
 materia di pubblico impiego), puo'  adottare  tutti  i  provvedimenti
 urgenti  che  appaiano piu' idonei ad assicurare provvisoriamente gli
 effetti della decisione sul merito, tutte le volte che il  ricorrente
 deduca un pregiudizio imminente e irreparabile.
   Difatti,  nell'ambito  del  processo,  di  qualunque  processo,  la
 "tutela cautelare" e la "cognizione sommaria" del diritto  sono  cose
 assolutamente  diverse,  sicche' l'astratta applicabilita' al caso di
 specie di una  misura  cautelare  atipica,  ai  sensi  del  principio
 costituzionale   sopra   ricordato,   non   puo'   dirsi  interamente
 satisfattiva della domanda proposta in ricorso; domanda  che  ricalca
 l'impostazione  data  al  problema  dal  t.a.r. Lazio con l'ordinanza
 sopra ricordata e che nel richiamare espressamente  gli  istituti  di
 cui  agli  artt.  669-sexies  e  700  del  c.p.c. intende chiaramente
 alludere ai procedimenti sommari di cui al Libro IV,  titolo  I,  del
 c.p.c.
   5.  -  Nemmeno  puo'  pervenirsi  all'affermazione  di  un parziale
 difetto di giurisdizione del giudice  amministrativo,  nel  senso  di
 ritenere  che  per  le  materie  di  cui  all'art.  33,  le questioni
 risolvibili con  "cognizione  sommaria"  o  "cautelare"  (decreti  ed
 ordinanze  ingiuntive,  ordinanze cautelari ed urgenti) siano rimaste
 devolute alla giurisdizione del giudice  ordinario,  in  quanto  cio'
 implicherebbe   una   sostanziale   riduzione   della  portata  della
 legge-delega, che, viceversa, ha chiaramente sancito  e  previsto  la
 piena  attribuzione  al  giudice  amministrativo  della giurisdizione
 esclusiva nell'amplissima e variegata materia dei "servizi pubblici".
   Ne segue che, allo stato, le  controversie  a  cognizione  sommaria
 sopra  indicate  sfuggono alla giurisdizione di qualunque giudice:  a
 quella del  giudice  ordinario  in  forza  delle  norme  deleganti  e
 delegate prima citate; a quella del giudice amministrativo in difetto
 della  puntuale  indicazione  normativa  degli  strumenti processuali
 all'uopo necessari (e di quel minimo di  necessaria  ristrutturazione
 interna del relativo apparato.
   6.   -   Non  va  trascurato,  peraltro,  che  questo  t.a.r.,  con
 recentissimo decreto presidenziale n. 113 del 22  febbraio  1999,  ha
 dichiarato   l'improcedibilita'-inammissibilita'   del   ricorso  per
 decreto ingiuntivo,  proposto  da  un  farmacista  convenzionato  col
 S.S.N.   per  la  corresponsione  di  somme  dovute  a  fornitura  di
 medicinali, nel presupposto che:
     "il procedimento speciale di cui al libro quarto del c.p.c. ed in
 particolare a quello di ingiunzione di cui ai ripetuti  artt.  633  e
 segg.,  non  e' adattabile al processo amministrativo nel quale manca
 istituzionalmente la figura e le funzioni del giudice monocratico";
     "non e' peraltro possibile ritenere  trasponibile  agli  istituti
 del  processo  amministrativo  il  ricorso  di cui trattasi attesa la
 particolare natura formale e sostanziale dello stesso";
     "la  parte  ricorrente  non  ha  consumato  i  suoi   poteri   di
 impugnativa  potendo  svolgerli  ex art. 33, d.lgs. 31 marzo 1988, n.
 80, secondo i normali strumenti del vigente processo amministrativo".
   E  tale  ratio  decidendi  che il collegio condivide ben si applica
 anche alle richieste formulate col ricorso in esame, attesa l'assenza
 nel processo amministrativo della figura  del  "giudice  istruttore",
 sia  con  riferimento  alla chiesta ordinanza ex art. 186-ter c.p.c.,
 che al chiesto provvedimento cautelare innominato ex art.  669-sexies
 e 700 c.p.c.; da questo la rilevanza della questione di cui infra.
   7.  -  La superiore conclusione, tuttavia, che all'evidenza postula
 la necessita' per il creditore di  attivare  un  processo  cognitorio
 ordinario sostanzialmente inutile rispetto al procedimento monitorio,
 induce  il  collegio  a sollevare d'ufficio questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 33 del d.lgs. n. 80/1998, nella parte in cui
 non rende espressamente applicabili al giudizio amministrativo  tutti
 gli  strumenti  processuali  previsti dal codice di rito con riguardo
 alle controversie rientranti nei blocchi di  materie  innovativamente
 attribuite  alla  giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
 atteso che, alla stregua  della  legge  di  delega,  la  tutela  oggi
 erogabile  dal  detto  giudice non puo' e non deve essere inferiore a
 quella che in precedenza gli stessi  soggetti  potevano  chiedere  ed
 ottenere  dal  giudice  ordinario (ed e' un dato di comune esperienza
 che, nel settore delle  farmacie  convenzionate  col  S.S.N.,  vi  e'
 stato,  fino  ad  oggi,  un  uso amplissimo dell'agile e ben definito
 procedimento  sommario  di  tipo  monitorio  finalizzato  proprio  ad
 evitare  quell'ordinario  processo  cognitorio  di cui alla decisione
 presidenziale sopra citata).
   Opinare diversamente  significherebbe  ammettere  che  il  semplice
 spostamento  della  giurisdizione, a seguito dell'art. 33 cit., abbia
 determinato, in palese violazione dei limiti della legge delega e dei
 precetti di logica  e  razionalita',  (che  debbono  presiedere  alle
 scelte  del  legislatore),  anche  una  sostanziale  riduzione  della
 consistenza stessa dei diritti soggettivi rientranti nelle materie di
 nuova giurisdizione  esclusiva,  quanto  meno  con  riferimento  alle
 possibili  azioni  sommarie  (e non meramente cautelari) esperibili a
 tutela degli stessi.
   Come insegna la migliore dottrina, i procedimenti sommari delineati
 dal titolo I del  Libro  IV  del  codice  di  rito  (tra  cui  quello
 monitorio  ex  art.  633  c.p.c., quello cautelare ed urgente ex art.
 669-sexies,  art.  700  c.p.c.)  sono  il  riflesso  processuale  del
 contenuto  sostanziale  dei  diritti  soggettivi  di  volta  in volta
 azionati, segnando la gamma di tutte le  possibili  forme  di  tutela
 degli   stessi.  In  particolare,  tali  procedimenti,  e  le  azioni
 correlate, connotano il diritto  soggettivo  di  credito  liquido  ed
 esigibile  di  somme  di  denaro  (basato  su  prova scritta) come un
 diritto tutelabile  senza  una  vera  fase  processuale  "cognitoria"
 (ossia  senza  la formale postulazione di un giudizio), e non possono
 essere  menomate  (ne'  in  tutto,  ne'  in  parte)  da  un  semplice
 spostamento  della  giurisdizione. I procedimenti sommari, in genere,
 altro non sono che il riflesso  processuale  di  talune  peculiarita'
 sostanziali  dei  connessi  diritti e cio' avrebbe richiesto, secondo
 evidenti parametri costituzionali di razionalita'  e  buon  andamento
 dell'Amministrazione  lato  sensu  giudiziaria,  che  il  legislatore
 delegato se ne facesse carico dettando, nell'art. 33  del  d.lgs.  n.
 80/1998, o una norma espressa di richiamo degli strumenti processuali
 civilistici, ovvero una compiuta e chiara disciplina dei procedimenti
 sommari,  urgenti  e/o  cautelari,  sia  di  ordine  sistematico, che
 pratico.
   Si  consideri  l'istanza  di  decreto ingiuntivo ex art. 633 (ed in
 parte anche quella di ordinanza ingiuntiva ex art. 186-ter): come  e'
 noto  si  tratta  di  procedimento  in  cui  si  e'  di  fronte  alla
 rivendicazione di un diritto  (credito  di  somme  di  denaro)  senza
 giudizio.  L'ordinamento  riconosce  al  creditore  un'azione  che ha
 carattenstiche sue proprie,  che  non  si  basa  su  prove  in  senso
 proprio,  richiede  solo  l'esistenza  di  certe condizioni (somme di
 denaro  liquide  ed  esigibili),  si   connota   per   l'attenuazione
 dell'esigenza  del  contraddittorio.  Il  giudizio  di cognizione sul
 diritto fatto  valere  in  via  monitoria  o  sommaria  e'  meramente
 eventuale  ed  e'  affidato  all'iniziativa  del  debitore attraverso
 l'opposizione. L'azione sommaria, in tali  casi,  deve  competere  al
 creditore  in  forza  delle  caratteristiche proprie del suo diritto,
 quale che sia il giudice chiamato a decidere.
   Orbene, ipotizzare che una  tale  azione  (riflesso  del  contenuto
 sostanziale  del  diritto  di credito liquido, esigibile e fondato su
 prova scritta) possa, oggi, ritenersi priva di giudice legittimato  a
 (sommariamente) conoscerla solo per effetto della nuova giurisdizione
 disegnata  dall'art. 33 d.lgs. n. 80/1998, appare come apertamente in
 contrasto, non solo con lo  spirito  e  la  lettera  della  legge  di
 delega,  ma anche con quei principi di logica e di imparzialita' alla
 cui violazione la Corte costituzionale ha sempre saputo  riconnettere
 la figura dell'eccesso potere legislativo.
   8.  -  La  verita'  e' che, ammettendo, come sembra necessario fare
 alla stregua del decreto presidenziale n. 113/1999 sopra citato,  una
 riduzione  dei  mezzi di tutela da parte del legislatare delegato, si
 incappa, inevitabilmente, nella violazione dei limiti della delega  e
 nella  irragionevole  quanto  ingiustificata riduzione delle garanzie
 apprestate ai cittadini nei settori di  giurisdizione  esclusiva  cui
 all'art.  33.  Al  giudice  amministrativo  si  attribuisce  -  si  -
 giurisdizione esclusiva in certe materie, ma questa sfera di  tutela,
 allo stato, non e' (perche'?) la medesima, sotto il profilo dei mezzi
 processuali (che poi fanno la sostanza stessa del diritto), di quella
 che era riconosciuta in precedenza.
   E  tale  reductio  non  e'  giustificata da ragioni riorganizzative
 degli apparati giudicanti o dei servizi ad  essi  connessi  (il  che,
 forse,   avrebbe  potuto  consentire  di  parlare  dell'esercizio  di
 un'ampia     discrezionalita'     legislativa      costituzionalmente
 insindacabile), ma e' solo ed esclusivamente l'automatica conseguenza
 dello  spostamento  della  giurisdizione. Tanto che si potrebbe dire,
 con una iperbole, che il diritto di azione,  nelle  materie  indicate
 dall'art.  33,  ha  subito  -  per  effetto  di  tale  articolo - una
 significante riduzione, non in correlazione  alla  legittimazione  al
 giudizio,  ossia  all'ampiezza  del  potere  cognitorio attribuito al
 nuovo organo giudicante (che e' piena ed  incondizionata,  sia  nella
 legge   delega   che   in   quella  delegata),  ma  (irrazionalmente)
 all'aspetto puramente "topico" dell'aula di giustizia  entro  cui  il
 medesimo  diritto  viene  oggi  fatto  valere:    quella  del giudice
 amministrativo, anziche' quella dell'A.G.O.
   In tal modo, risulta perpetrata anche la violazione dell'art.  3  e
 113  Cost.,  sia  perche' situazioni giuridiche identiche (il diritto
 soggettivo di credito  di  somme  di  denaro  liquide  ed  esigibili)
 vengono  ad  essere  tutelate, nel tempo, con strumenti di cognizione
 sommaria  diversi  in  conseguenza  del diverso giudice legittimato a
 conoscerle; sia perche' non viene  assicurata,  anche  attraverso  il
 processo  amministrativo, quella effettivita' della "tutela sommaria"
 connessa al diritto fatto valere dinanzi al nuovo giudice.
   9. - Sotto altro profilo, non puo' non rilevarsi che  la  acclarata
 inaccoglibilita'  delle  azioni  sommarie  formulate  col  ricorso in
 esame, rientrante in una delle materie di giurisdizione esclusiva  ex
 art.    33,  non  solo implica una sostanziale riduzione dei mezzi di
 tutela per le medesime materie, non solo finisce  col  proiettare  la
 normazione  delegata  ben  oltre il mero spostamento di giurisdizione
 prefigurato dalla norma delegante, ma significa anche costringere  il
 creditore  a proporre (come nel caso di specie) azioni cognitorie per
 l'accertamento del titolo di credito (in  cui  magari  insinuare  una
 spuria istanza cautelare) nonostante gia' esista la prova documentale
 del  credito  (nella  specie,  le  distinte  contabili  mensili della
 farmacia  della   odierna   ricorrente);   una   prova   alla   quale
 l'ordinamento  previgente,  nell'ottica  costituzionalmente rilevante
 della  celerita'  e  concentrazione  del  processo,  offriva  l'agile
 procedimento  "sommario" del ricorso per decreto ingiuntivo (ossia la
 richiesta di una statuizione senza processo, salva  l'opposizione  ad
 iniziativa  del  debitore  ingiunto).    Ed  ognuno ben vede come sia
 irrazionale costringere il cittadino  a  proporre  azioni  cognitorie
 quando  esistono mezzi di tutela rapidi ed efficienti gia' ampiamente
 praticati col giudice precedentemente legittimato.
   E lo stesso vale per la richiesta di ordinanza ingiuntiva ex  artt.
 186-ter e 633 c.p.c. ovvero dei provvedimenti cautelari innominati ex
 artt.  669-bis  e  700  c.p.c.  laddove  e'  evidente che la rilevata
 impraticabilita' della tutela sommaria finisce sempre  per  scaricare
 nella  fase  cautelare  del  giudizio  amministrativo (normativamente
 ristretta nella formula della cosiddetta "sospensiva" dell'esecuzione
 dell'atto impugnato)  problematiche  sostanziali  e  processuali  (si
 pensi  ancora  al  sistema  delle impugnazioni) del tutto estranee al
 processo  amministrativo,  con  sviluppi   allo   stato   del   tutto
 imprevedibili  (e  che  senza  un chiaro e tempestivo orientamento da
 parte della  Corte  costituzionale  richiederebbe  anni  ed  anni  di
 elaborazione   giurisprudenziale   con   le   relative,  inevitabili,
 "oscillazioni" a detrimento della stessa "certezza del diritto").
   Ed una prova della palese irrazionalita' del sistema che comincia a
 delinearsi balza evidente proprio dal ricorso in esame, nel quale  il
 ricorrente,  nonostante  risulti  essere in possesso di prova scritta
 del credito pecuniario vantato nei confronti dell'Azienda U.S.L.   di
 Agrigento  per  le  forniture  di  medicinali  dei  mesi di ottobre e
 novembre 1998, nonostante la parziale ammissione  dell'Azienda  circa
 la esigibilita' dello stesso (e' stato pagato il periodo di ottobre e
 parte  di  quello  di  novembre),  ha  dovuto  proporre  (nell'ottica
 dell'ordinanza del t.a.r. Lazio sopra indicata) il presente ordinario
 ricorso cognitorio, all'interno  del  quale  ha  ritenuto  di  dovere
 formulare,  nella  presupposizione  che  non  era  possibile proporre
 ricorso per decreto ingiuntivo, un'atipica  ed  estemporanea  domanda
 sommaria-cautelare  con  riferimento  agli  artt.    669-sexies e 700
 c.p.c. ed all'art. 186-ter stesso c.p.c. In tal modo finendo:
     col proporre un'azione cognitoria che col giudice precedentemente
 legittimato sarebbe stata del tutto inutile;
     con  l'accomunare l'area della tutela sommaria (che e' proiezione
 della natura sostanziale di un compiuto diritto di credito accertato,
 sotto certe condizioni, ex lege) con l'area  della  tutela  cautelare
 (che e' un semplice incidente del processo di cognizione).
   Il silenzio dell'art. 33, d.lgs. n. 80/1998 determina, in sostanza,
 una  notevole  e  pericolosa confusione di istituti processuali e dei
 relativi concetti che, in definitiva, svuota la possibilita'  per  il
 giudice  amministrativo (in sede collegiale o in sede presidenziale),
 pur    investito    di    piena    ed     esclusiva     giurisdizione
 (cognitoria-condannatoria)  nella  materia  de  qua, di adottare, nel
 caso di specie, non tanto una "decisione cautelare", ma  direttamente
 una "decisione sommaria" (decreto ingiuntivo) che esaurisca subito la
 relativa  pretesa,  definendo  compiutamente il giudizio alla stregua
 dei previgenti mezzi offerti dal codice di  rito,  salvo  l'eventuale
 nuovo   giudizio   cognitorio  a  seguito  di  opposizione  da  parte
 dell'Azienda intimata.
   La verita' e' che il  processo  amministrativo  conosce  l'istituto
 della   "decisione  cautelare"  (e  nelle  materie  di  giurisdizione
 esclusiva anche nelle forme atipiche di cui alla sentenza n. 190/1985
 della Corte cost.), ma non quello della  "decisione  sommaria"  della
 controversia, sicche' la devoluzione di nuova giurisdizione esclusiva
 al giudice amministrativo nelle materie (e nell'amplissima casistica)
 dell'art.      33,  d.lgs.  n.  80/1998  avrebbe  dovuto  indurre  il
 legislatore delegato a farsene carico. Ma cosi' non e'  stato  ed  il
 totale  silenzio dell'art.   33 cit., mentre esclude l'applicabilita'
 di ben  conosciuti  e  consolidati  procedimenti  giurisdizionali  di
 pronta  definizione del giudizio (come quello monitorio), finisce col
 far sorgere una variegata tipologia di "domande incidentali"  ed  una
 correlativa    giurisprudenza   praetoria   il   cui   "assestamento"
 richiedera',  se  non  interverra'   -   da   subito   -   la   Corte
 costituzionale,  un  lunghissimo  periodo di tempo, a tutto discapito
 della efficienza e razionalita' della nuova giurisdizione.
   In siffatto modo viene seriamente menomata,  ad  avviso  di  questo
 collegio,  anche la pienezza del diritto di azione costituzionalmente
 garantito (art. 24 Cost.), nonche' il principio di economia dei mezzi
 giuridici, che costituisce un ineludibile  corollario  del  principio
 del  buon  andamento  e dell'efficienza dell'apparato giurisdizionale
 inteso come parte della p.a.